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Basilica vista dal ponte sul Lambro |
Il
Coro
Il soffitto del coro, o catino dell'abside, è a semicerchio e con la volta divisa in tre spicchi o settori che sono tra loro separati da due lesene che dalla base salgono e si uniscono nella semilunetta dipinta a conchiglia che ha al centro l'Agnello che stringe un piccolo stendardo Sul quale è dipinta una croce color rosso. Nel settore triangolo di centro soffitto si osserva l'immagine di Giovanni Battista che tiene le mani giunte, circondato da piccoli angeli, o puttini, di cui uno tiene la croce. Nei due settori triangolari ai lati, vi sono rispettivamente due angeli di grandezza naturale: quello di destra tiene la palma del martirio, quello di sinistra tiene le mani giunte; tutti e due hanno ai loro lati due piccoli angeli che tengono rami di palma e gigli. Alla base della cupola semicircolare stanno dipinti uomini e donne in atteggiamento di raccoglimento e di serenità: essi rappresentano le anime che stanno nel Limbo. Le due lesene di separazione dei settori triangolari sono pitturate con dipinti raffiguranti angioletti e oggetti di uso liturgico: calice, messali, libri vari, candelieri, candele, smoccolatoio, fanali per torce, turibolo, navicella, ostensorio. Tutte queste pitture sono attribuite al pittore Paolo Pini, quel medesimo che lavorò al duomo di Milano negli anni attorno al 1625. Sono dunque pitture della prima meta' del 1600. Sulla grande parete semicircolare del coro stanno tre raffigurazioni separate tra loro da due sporgenze tipo semipilastri scannellati con sette scanalature dorate che si innalzano e terminano per sostenere il cornicione con capitelli di stile ionico e con festoni decorativi simili a frutta. La decorazione pittorica che sta al centro mostra la persona di Davide, il salmista e re di Israele. Egli è seduto in trono e suona la cetra. Il trono si erge su un rialzo davanti al quale sta un grosso e lungo cartiglio con le parole: “PSALLITE DEO NOSTRO, PSALLITE SAPIENTER. PS. XLVI”, il che significa una frase del salmo 46 della vecchia numerazione, del salmo 47 nella nuova numerazione biblica: "Inneggiate a Dio, inneggiate con un bel canto". In basso a sinistra si legge l'indicazione degli autori artisti: Barabini 1557. Questa pittura, cioè, è opera dei fratelli Barabini, una famiglia di pittori di cui il più famoso è Nicolò (1532-1891) e originari di Genova. Nello scomparto della parete di sinistra e di destra stanno le vetrate colorate eseguite dalla ditta Grassi di Milano disegni e colori del pittore Paolo Rivetta, per commissione del prevosto don Arturo Giovenzana (1938-1966). La scena di sinistra mostra la circoncisione di Giovanni Battista, ed è lo sviluppo pittorico del testo evangelico di Luca 1,59-61 che sta scritto in latino in alto: "In die octavo venerunt circumcidere puerum et vocabant eum nomine patris sui Zàchariam". Al centro sta la madre che tiene in mano una pergamena con scritto: "Nequaquam sed vocabitur Joannes". |
Alla base della vetrata stanno
le parole:' "Nemo est in cognatione tua qui vocetur hoc nomine". Cioè,
per una maggiore comprensione della scena, riportiamo qui tradotto il testo
di Luca: "All' ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano
chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: "No,
si chiamerà Giovanni". Le dissero: “Non c'è nessuno della
tua parentela che si chiami con questo nome". La
vetrata colorata di destra è lo sviluppo del testo di Luca 1, 62-64,
come sta. anche qui scritto in alto e in basso della vetrata: "Annuebant
autem patri eius quem vellet vocari eum". Al centro Zaccaria scrive su
una tavoletta le parole di risposta: "Joannes est nome eius". E bisogna
leggere pure le parole in basso che così stanno: “Et mirati sunt
universi. Apertum est autem illico os eius et lingua eius et loquebatur
benedicens Deum". La traduzione italiana è questa: “Allora domandavano
con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta,
e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati.
In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la
lingua, e parlava benedicendo Dio". Tutto il coro, per la semicircolarietà,
è occupato da scanni di noce in due gerarchie. La prima gerarchia
di scanni resta appoggiata alla parete del coro e serviva per i sacerdoti
che erano in più alta dignità e per i canonici del capitolo
quando fu istituito il capitolo nel 1654, soppresso poi da Napoleone. Gli
scanni della prima serie, in numero di 18 - uno di essi però è
stato ridotto a porta di servizio - hanno lo schienale lavorato a quadri
con corniciatura. Nei fianchi di ciascun schienale sta un cherubino ornato
di fine intaglio in cui posa una colonnetta scannellata con base e capitello
di stile ionico; le colonnette sostengono l'architrave e il cornicione
ligneo che gira tutto all'intorno. Gli scanni della seconda serie servivano
per i semplici sacerdoti senza particolari dignità ecclesiastiche
o per i coadiutori che volevano partecipare al coro. Sono in numero di
14 e in genere venivano occupati nei giorni festivi e nelle solennità.
Il loro schienale serve anche da appoggio agli scanni superiori. In centro
alla prima serie degli scanni maggiori sta il posto quasi un tronetto che
era riservato al prevosto, e qui nella parte in alto è visibile
un cartiglio ligneo con la data di costruzione, il 1635, opera eseguita
dal falegname Giovanni Scoto. Nel coro si trova ancora oggi un mobile detto
lettorino, di noce, collocato sopra una specie di armadietto quadrato:
esso serviva per riporre due grossi libri corali in uso dei canonici; i
libri erano coperti con cuoio conciato e lastricati di ottone; il primo
serviva per i giorni festivi ed è di carta pecora o pergamena, eseguito
nel 1717 dal sacerdote Vassalli del duomo di Milano, e l'altro è
di carta reale impresso nel 1745 dal canonico Giovanni Battista Annoni,
a spese del capitolo dei canonici. Oggi i due grossi libri sono conservati
fuori dal coro. Le misure del coro sono queste: larghezza metri 7,70, con
una profondità di metri 5,70. Sotto l'arco che separa il coro dall'altare,
stanno dipinti i puttini, alcuni dei quali portano con una mano un ramo
di alloro e con l’altra afferrano un nastro che svolazza intorno in cui
sono scritte a grosse lettere: “Ecce Agnus Dei qui tollit peccata”. Questo
scritto spiega la figura dell'Agnello che sta dipinto nella sommità
della volta. Tutta l'opera pittorica è del pittore Paolo Pini, un
pittore che è presente nel 1625 ai lavori del duomo di Milano che
decorò la zona absidale e il presbiterio del duomo stesso. La luce
al coro è portata da quattro finestre, due delle quali stanno sopra
il cornicione e vicine alla volta del soffitto, le altre due stanno sotto
il cornicione ed hanno vetrate colorate raffiguranti due momenti delle
vita di san Giovanni Battista. Il coro fu costruito nel 1593 a forma semicircolare
secondo i decreti emanati da san Carlo Borromeo nella sua visita
pastorale del 1581. Tuttavia il coro non fu costruito come avrebbe voluto
san Carlo. Il presbiterio, cioè la zona dell'altare maggiore, terminava
con una parete piatta e l'altare stava, dunque, addossato direttamente
alla parete piatta, e lì terminava la chiesa. Per la costruzione
del coro e per la sua stabilità strutturale muraria, e nello stesso
tempo per non chiudere la strada che passava dietro alla chiesa, si dovette
coprire la strada stessa con un grosso e basso arco di robuste proporioni
con grossi mattoni; l'arco esiste tuttora e sta sulla via Stefano Bersani. |
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